VIOLENZA SULLE DONNE: CONSULTA RISTABILISCE PRINCIPIO FONDAMENTALE
In un’Italia dov’è in atto un femminicidio dentro le pareti domestiche, dove perdura l’idea patriarcale che l’amore sia possesso, dove ogni momento della vita sociale delle donne è contrassegnato da uno stereotipo umiliante e dequalificante, dove non c’è protezione ma repressione può risultare difficile accettare la sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato una norma con cui si prevedeva l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per gli accusati di violenza sessuale e di atti sessuali con minori. La campagna mediatica che aveva accompagnato la legge contro la violenza sulle donne ha fatto scattare ora immediatamente la reazione della Ministra per le Pari Opportunità e di diverse associazioni di donne contro la decisione della Consulta.
Personalmente, soprattutto per l’esperienza di questi ultimi anni sulla realtà del sistema carcerario sardo, prima quale componente socialista della Commissione Diritti Civili del Consiglio regionale della Sardegna ed ora quale presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, non sono convinta che la repressione generalizzata sia utile alla società e la qualifichi. L’opinione pubblica non può essere ingannata con la falsa idea che la sicurezza si conquista con gli Istituti di Pena stracolmi di detenuti privati anche dei diritti più elementari. I sex offender, al pari degli altri ristretti nelle nostre italiane, nella maggior parte dei casi non seguono alcun specifico programma rieducativi, adeguato ai bisogni della società in cui dovranno primo o poi reinserirsi.
L’idea che la detenzione immediata possa risolvere il problema della violenza sessuale e proteggere le vittime è peraltro infondata. Piace perché può far palesare il concetto di uno Stato ben organizzato che risponde con immediatezza alle questioni che generano insicurezza. Ma tutti sappiamo che non è così! L’onda emozionale non favorisce il pensare. Ma per fortuna le donne sono ben allenate a individuare le contraddizioni di questo Paese e quel sistema di distrarre l’opinione pubblica dal vero obiettivo.
La Consulta ha infatti ristabilito un principio fondamentale: si è innocenti finché non è stato dimostrato il contrario. L’obbligo di detenzione in carcere senza prove certe è un obbrobrio in un Paese democratico. La violenza sulle donne, quella che prevalentemente si consuma in casa, non traeva alcun vantaggio da quella norma anticostituzionale, anzi. Per scardinare l’equazione donna=violenza ci vuole altro. E il Governo in carica potrebbe fare molto per esempio promuovendo un dibattito sulla legge elettorale, particolarmente umiliante per le donne, restituendo ai cittadini la libertà di scegliere i/le rappresentanti/e. Smetterla inoltre di presentare a rischio la situazione delle donne italiane e dei bambini solo per la presenza nel nostro Paese di extracomunitari. Sarebbe opportuno, infine, che il Premier evitasse di esprimere valutazioni di carattere estetico, peraltro di pessimo gusto, sulle Parlamentari dell’opposizione.
Occorre tutelare le vittime di violenza realmente, specialmente quando si celebrano i processi. Non basta infatti per risolvere il problema della violenza di genere promuovere e sostenere principi forcaioli. La realtà femminile si tutela con leggi che fanno aumentare i posti di lavoro, favoriscono i servizi sociali, rispettano l’identità di genere, garantiscono la presenza paritaria delle donne nelle istituzioni. Il diffuso clima sessista, il disvalore della componente femminile della società, l’accettazione passiva di battute e considerazioni sul corpo delle donne sono segnali inequivocabili del degrado culturale del Paese. Per non parlare dell’uso vergognoso delle donne nella pubblicità.
Insomma la carcerazione preventiva obbligatoria non avrebbe risolto il problema della violenza in Italia che è e resta culturale. Si affronta abbattendo gli stereotipi sul ruolo della donna all’interno della società e diffondendo la cultura della differenza quale valore irrinunciabile. Ciò che le donne chiedono è la sicurezza dell’equità sociale, il rispetto della loro identità in un ambiente culturalmente sano in cui c’è stima e rispetto dentro e fuori le pareti domestiche.
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