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Leggendo “SENSI RISTRETTI” di Rina Salis Toxiri. Un’analisi del libro di Federico Caputo

15 novembre 2015 Un commento

Pubblichiamo l’intervento della dott.ssa Rina Salis Toxiri, psicologa, alla presentazione del libro “Sensi Ristretti”di Federico Caputo, EDES editrice.

    Federico Caputo  nel suo libro, racconta il Carcere attraverso i suoi 5 sensi.

La sua  rappresentazione è davvero universale,  perché tutti percepiamo attraverso i sensi   una  realtà filtrata da dai bisogni, emozioni, valori, relazioni e comportamenti.

Caputo analizza il suo impatto col  Carcere, ISTITUZIONE TOTALE  che tutto contiene ed incorpora, decodificando e frammentando la sua globalità  attraverso la  percezione sensoriale,  per poi ricomporla e classificarla come il luogo emotivamente più insicuro e ostile per chi ci abita.

    Daniel  Goleman nel suo testo fondamentale: “Intelligenza emotiva”, afferma  che noi abbiamo due menti, la mente razionale, che pensa, riflette e analizza in modo consapevole ed una mente emozionale  che sente, è inconscia, immediata, impulsiva, potente e talvolta illogica. Questa dicotomia è la più banale  distinzione fra il cuore e la mente, certe volte sappiamo ciò che è giusto con il cuore ma la mente ci dice di andare cauti, di non prendere decisioni avventate…In genere queste due menti sono in armonia e si integrano . Ma certo nell’impatto col Carcere per F. Caputo non c’è dicotomia, i sensi fotografano una realtà devastante per la mente e per il cuore . In seguito Caputo scoprirà che per sopravvivere ad una realtà così problematica e punitiva, dovrà far prevalere la sua mente cognitiva e tenere a bada emozioni ed impulsi.

Caputo spiega che in carcere ”<<Il vedere è limitato, non c’è profondità, tutto è ridotto, la vista si appanna>> e  quando si trascorrono 22  ore in una cella affollata ed in penombra , la mancanza di luce è costante . Solo la memoria “ <<scruta i colori del buio e ascolta l’assordante silenzio del presente>>”. Il guardare la realtà del carcere  dà “<< un senso di soffocamento dell’anima>>”.

L’ODORE DELLA SOFFERENZA.

L’olfatto è il primo senso che si attiva, nel lobo olfattivo affondano le radici più antiche, ancestrali della nostra vita emotiva, riconoscere gli odori della mamma,  di amici o nemici, è stata ed è d’importanza vitale per la sopravvivenza della specie, fra l’altro l’olfatto non inganna! La sofferenza si annusa, si respira, attraverso l’affollamento di corpi spesso sofferenti, di cibo che ristagna in un’aria immobile, di mura vecchie  e sporche, allora bisogna  allertare i sensi, per   orientarsi  e raccogliere  le  informazioni che serviranno ad indirizzare la mente a non  subire un vissuto alienante, è allora che , dice Caputo,  bisogna guardare dentro di sé, per cercare un baricentro, un punto di forza interiore che impedisca di essere risucchiati e schiacciati dalla disperazione del contesto.  Tutti agiamo in base ai nostri bisogni che sono motivatori universali, Maslow li  raffigura  in una  scala gerarchica, che inizia dai bisogni primari, fisiologici< fame e sete,   bisogni di sicurezza, di appartenenza e affettività, di autostima e autorealizzazione. Nel carcere quali bisogni sono soddisfatti? Forse e  non completamente i primari, perché Federico parla soprattutto di sete, non c’è acqua potabile chi ha soldi si compra la minerale, e spesso anche la fame a causa del cibo insapore e scadente

Il bisogno di sicurezza, è condizionato  da una  paura  sempre presente, paura   del sistema Carcere, dei  compagni ,  delle guardie,  paura degli errori verso una  *subcultura carceraria imposta e ineludibile che bisogna apprendere il più velocemente possibile per sopravvivere. Paura dell’abbandono delle persone care, paura dei sensi di colpa, dei rimpianti…

Il bisogno di affetto e di appartenenza è spessissimo vanificato se non  annullato, perché  la separazione dalla società diventa anche separazione da tutti gli affetti, centellinati in colloqui o telefonate, ma  spesso con il trasferimento in altra regione, malgrado una legge imponga la pratica della regionalizzazione del carcerato.. E allora l’Autostima e l’autorealizzazione ? Quasi  impossibili da raggiungere se non vengono soddisfatti i precedenti bisogni, ma questo chiaramente non si può prevedere per tutti,  infatti le potenzialità e capacità umane anche se mortificate da un contesto oppressivo,  riescono prima o poi ad emergere.

LE Dinamiche comunicative distruttive

Per il nuovo giunto la disconferma è costante, la percezione di non valere niente di non essere una persona , viene subito rappresentata dalla prima  perquisizione personale , umiliante ed invasiva, a cui   consegue la percezione dell’ inabissamento in un sistema nel quale è annientata la dignità personale.  Mi chiedo se venga sempre onorata la Circolare Amato del 1987 per attivare il “Servizio nuovi giunti,? ( Accompagnamento e sostegno previsto per chi per la I volta entra in carcere da detenuto).

Il tempo in carcere è dilatato in modo esponenziale, il tempo individuale annullato e sottoposto al potere di  tutti gli anelli della catena carceraria, dalle guardie, educatori, assistenti sociali, direttori, infermieri, medici ed il più temuto, il Tribunale di sorveglianza, che tutto decide.  La domandina: per tutto bisogna chiedere il permesso con una domandina scritta, la terribile burocrazia carceraria e rappresentata dalla continua fatica ad ottenere risposte alle  richieste più ovvie, dagli  occhiali da vista, ai permessi anche per telefonate ai congiunti in condizioni di salute disperate, (Federico parla con profonda commozione della telefonata non concessa per conoscere  le condizioni della madre in coma, rimandata dal venerdì per apprendere il martedì dalla direttrice, la notizia devastante della sua morte.

Ai tempi infiniti dei trasferimenti ad altri carceri o ospedali con tanti  detenuti ammanettati e trasportati  come oggetti, senza che sappiano, perché non viene comunicata  nessuna notizia del perché si è trasferiti  e soprattutto per dove, si passa dalla macchina alla nave o aereo, treno, sempre chiusi in celle piccolissime senza che nessuno dia un’indicazione. Come animali portati al macello  Tutti i sensi sono spasmodicamente  allertati  per captare una parola, un rumore, un accento dialettale o una visione  che indichi dove e a  cosa si sia destinati.. Il non sapere mai che cosa ti aspetta getta nella disperazione con piccoli sprazzi di speranza su una situazione migliore. È una situazione di alienazione,  di totale SPERSONALIZZAZIONE che  getta i detenuti in uno stato di  odio verso tutto e tutti.

Manca totalmente  la privacy, quella necessità che tutti abbiamo di  riparo dagli altri, per riflettere, stare con sé stessi in una dimensione di relativa libertà, per fare il punto della situazione per capire quali  strategie usare per non essere risucchiati dal leviatano, solo il  sonno dà un po’ di pace, anche se e soprattutto durante la notte, i sensi vengono maggiormente allertati, i rumori e le voci di un’umanità sofferente e insofferente, le  urla con richieste di assistenza, battiture di sbarre, tentativi di suicidio, qualche volta riusciti, vengono amplificati attraverso l’udito che cerca di decodificarne il significato: “CIECO PUR AVENDO LA VISTA imparo a vedere attraverso il buio delle pareti”.

Durante le 2 ore d’aria  ognuno si muove ripetendo  ossessivamente e compulsivamente gli stessi movimenti, tipici degli animali in gabbia,( il dondolamento del tronco, cani cavalli, orsi. )  Si ha quindi una regressione comportamentale a stadi primitivi dovuti alla mancanza di spazio, di moto, ma soprattutto alla

IL GUSTO e L’OLFATTO>sono  penalizzati, Caputo dice che è tutto insapore, perchè  mancano gli ingredienti  primari, sale, zucchero e l’ acqua potabile! e allora bisogna chiedere e lo scambio con gli altri non è mai onesto e paritario ma sottopone a vincoli sgradevoli, spesso chi può cucina in cella e allora è un’altra cosa, i cibi hanno ancora sapore di casa!! ( Non sapevo che una volta terminata la pena si devono pagare le spese del mantenimento in carcere.)

Anche il tatto è umiliato  dalla freddezza dell’acciaio, le sbarre,  le stoviglie le manette,  anche  i fogli sono nemici per le notifiche spesso oscure nemiche, continuamente rilette per cercare di capire .

E la riabilitazione, il reinserimento nella società? In tutto il libro Federico ne parla come del grande assente, e si fa la domanda del perché non si creino condizioni di vita umana, compatibili con il diritto e la dignità che si deve alle PERSONE.

“IL CARCERE È UN LUOGO DI SEPOLTI VIVI”, dice Francesco Ceraudo

Purtroppo la  società  tende  a ridurre il carcere ad un luogo fisico,  con dentro dei corpi, sistemati in celle, limitandosi quindi a parlare della dimensione spaziale e fisica e della necessità dell’allontanamento  di chi  delinque, ma  tralascia quello che “sta all’interno, il luogo dei sentimenti  delle emozioni delle persone che ci vivono con i  loro pensieri, capacità, speranze , silenzi e relazioni.

Dice Andreoli  che il carcere deve essere visto  anche sotto questo aspetto, perché è più insopportabile la solitudine, l’isolamento psicologico, rispetto ai bisogni del corpo; gli stati d’animo riescono a trasformare gli ambienti umani.

La carcerazione potrà  acquisire dei risultati concreti soltanto se si comprenderà che l’Io del detenuto deve  ricevere un sostegno e sarà messo in condizioni di potersi riorientare con tecniche di  riabilitazione psicologiche e con un trattamento UMANO, positivo perché prima o poi lascerà il carcere e il suo comportamento sarà proporzionale al trattamento che ha subito.

Bisogna curare la qualità della vita in carcere attraverso l’acquisizione di 2 importanti obiettivi: a) il lavoro penitenziario; b) gli interessi cognitivi e  affettivi . Solo così si favorisce l’inserimento a livello sociale e lavorativo sotto tutti gli aspetti, cosa fondamentale per affrontare la vita una volta usciti.

Per Federico Caputo  la salvezza arriva dall’affetto o meglio amore M. , con i colloqui mensili e con la  posta giornaliera, il fil rouge della speranza, l’ancora di salvezza , M con il suo umorismo, la progettualità per il futuro gli trasmette la ragione della resistenza alla quale aggrapparsi.

Infine il matrimonio in carcere con la consapevolezza di avere finalmente un legame duraturo e indissolubile con chi da sempre si ama e con pazienza infinita ha  tenuto viva la speranza.

Finalmente  la libertà,  con la vita quotidiana fatta di piccoli e grandi cose e  situazioni, di cui il carcere ha cancellato la memoria.

 Giuseppe  Colazzo è un  detenuto che non si è arreso al carcere e qui ha avuto la forza di intraprendere un percorso di studi. La laurea triennale e poi quella specialistica in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Torino, sono il risultato di un impegno anche conoscitivo centrato tutto su quella che è stata definita “istituzione totale”. Dalla prima tesi “La devianza tra i devianti. I valori, le norme di una comunità carceraria e la loro trasgressione” mettendo in atto l’osservazione partecipata sulla “pratica della vita carceraria” è riuscito a dimostrare, tra l’altro, come in carcere si consolidino e si rafforzino trasgressione e devianza.

Il carcere – dice ancora Colazzo – è il luogo dei sepolti vivi, in quanto provoca sentimenti di angoscia, tristezza, incredulità. Valutazioni che ci hannp lasciati senza parole per la”violenza” dei termini, delle frasi brevi , ma dirompenti e significative; in modo particolare ci ha destato disagio concepire morte persone vive, ma sepolte, morte nell’anima. Ciò è terribile, prima nemmeno immaginavamo un sentimento del genere,così inconcepibile e quasi ripugnante,come l’altra frase : il carcere è una chirurgia dell’anima ” nel senso che la frammenta,la rende segmentata,impossibile da ricostruire e mina l’identità del soggetto che vive in questa “città murata” senza alcuna via di scampo e di liberazione. Inoltre emerge chiaramente l’idea di curare la vita in carcere per favorire l’inserimento a livello sociale e lavorativo sotto tutti gli aspetti,cosa fondamentale per affrontare la vita una volta usciti dal carcere. Importante a nostro avviso è inserire anche delle riflessioni del carcere abbiamo trovato un articolo scritto dallo psichiatra Vittorio Andreoli, che affronta con un approccio diverso la dimensione del carcere e ciò che esso porta con sé.

Rina Sali Toxiri, Cagliari 13 novembre 2015

 

Un commento »

  • Rosanna De Rossi scrive:

    Sensi Ristretti, gronda di forti emozioni e Federico ha voluto raccontare la quotidianità della vita che trascorre dentro le carceri italiane.
    Il percorso che ho fatto “assieme” a mio marito è stato lungo, difficile e doloroso in tutte le sue disumane fasi di vita in continua lotta contro un sistema penitenziario assurdo ed indegno e di lotta per sopravvivere a questo sistema affinando ed elaborando i cinque sensi al fine di guardare dentro se stesso nella ricerca di una soluzione costruttiva.
    Tutt’ora dopo anni di sofferenza dobbiamo fare i conti con le discriminazioni, verso chi ha “soggiornato” in carcere, da parte di persone che del qualunquismo fanno la propria arte ed in modo particolare nel mondo lavorativo e familiare.
    Federico è riuscito a mantenere la promessa data a chi è rimasto in carcere e chi gli chiedeva “ fai qualcosa per noi”, è riuscito a tornare in Sardegna con il sorriso amaro di chi tornava da un mondo sconosciuto con tutti i suoi danni fisici, morali e affettivi e con il sorriso dedicato a me.
    Grazie a tutti voi per aver colto le sfumature dei Colori dell’Anima vissute da noi due.

    Rosanna De Rossi coniugata con Federico nel carcere di Roma Rebibbia il 05/07/2005
    Sassari, 18 novembre 2015

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