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CARCERI: RECLUSIONE GENERA FORTE DISAGIO PSICHICO

17 ottobre 2016 Nessun Commento

CARCERI: SDR, RECLUSIONE GENERA FORTE DISAGIO PSICHICO

 

“L’impatto con una istituzione totalizzante, in cui predomina l’assenza di libertà, provoca sempre un corto circuito emotivo. Spazio e tempo cambiano radicalmente e l’individuo deve fare i conti con un ambiente ostile, a prescindere dall’umanità degli operatori. Non è facile, soprattutto quando si è giovani e in attesa di giudizio, mantenere un giusto equilibrio tra i riferimenti valoriali. Se poi si aggiungono sensi di colpa è molto facile andare in tilt”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al gesto disperato di Martin Aru che è stato salvato miracolosamente dagli agenti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Cagliari-Uta, avendo messo in atto un tentativo di suicidio.

“Le strutture detentive, specialmente quelle di più recente costruzione come Cagliari-Uta, rispondono prevalentemente – sottolinea Caligaris – a esigenze di sicurezza. Distanti dai centri abitati, anonime, difficili da raggiungere, dispersive, con aperture di celle automatizzate offrono locali non adeguati ai bisogni di risocializzazione e reintegro. Paradossalmente la decantata sicurezza è quasi esclusivamente strutturale con mura alte e spazi senza identità giacché il numero di Agenti della Polizia Penitenziaria è ridotto all’osso e quello degli Educatori ancora più esiguo”.

“Le nuove carceri costruite in Sardegna, sembrano confermare e amplificare il sospetto – rileva ancora la presidente di SDR – che abbiano il ruolo di contenere le persone dentro le celle. Benché il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) indichi nelle diverse circolari le stanze detentive soltanto come luoghi di pernottamento, di fatto la maggior parte della vita dei ristretti si consuma dentro uno spazio angusto o al più in un corridoio o in una saletta di socialità dove si trovano un biliardino, qualche mazzo di carte o una dama. Questo vale per i detenuti che hanno superato le diverse fasi di giudizio così come per coloro che sono in attesa della prima udienza”.

“I tentativi di suicidio, anche quando si configurano come atti dimostrativi, esprimono un grave disagio che può essere previsto solo in particolari condizioni. Non possono essere gli Agenti o gli Educatori o gli Psicologi o gli Psichiatri a fare la prevenzione. E’ l’insieme della struttura, quindi degli spazi, delle professionalità in équipe e della concezione della pena umana e risocializzante a limitare i casi. Se invece, come sempre più spesso accade, gli Agenti e/o Medici e Infermieri sventano i tentativi di suicidio occorre – conclude Caligaris – interrogarsi sulla qualità della vita dentro i Penitenziari e sulla finalità della detenzione”.

Cagliari, 17 ottobre 2016

 

 

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