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CARCERI: NON PREOCCUPA PROSELITISMO JIHAD QUANTO PIUTTOSTO TOSSICODIPENDENZA. ASINARA ARGOMENTO CHIUSO.

19 novembre 2015 Nessun Commento

“Il Segretario nazionale del Sappe Donato Capece sembra paradossalmente ignorare la realtà delle carceri. Abbiamo l’impressione che non siano gli jihadisti la principale preoccupazione degli Agenti della Polizia Penitenziaria e dei Direttori delle strutture detentive. Né è possibile riattivare ciò che furono l’Asinara e Pianosa. Se si vuole garantire una convivenza meno drammatica nei Penitenziari bisogna risolvere innanzitutto il problema dei tossicodipendenti. Occorre insomma una riflessione meno approssimativa della vita nelle strutture penitenziarie specialmente adesso. Altrimenti si rischia di volersi fare pubblicità a buon mercato”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, facendo osservare che “in Sardegna, come tutti ben sanno, non esiste alcuna possibilità di restituire l’Asinara a un ruolo penale. Sconcerta tuttavia l’assenza di idee per arginare fenomeni come il proselitismo alla jiahad e garantire una maggiore sicurezza negli Istituti Penitenziari”.

“Se esiste una emergenza carceri, in Sardegna come in buona parte d’Italia, si chiama – rileva Caligaris – tossicodipendenza. Risulta infatti che circa il 40% dei detenuti delle strutture penitenziarie in particolare quelle di Cagliari-Uta e Sassari-Bancali, per fare due concreti esempi, ha problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti, alcol e gioco d’azzardo compresi. Si tratta di percentuali inaccettabili in un sistema di privazione della libertà in cui le attività di recupero e risocializzazione, anche nelle migliori prospettive, contrastano con la condizione fisica e psicologica di chi ha una dipendenza. Si tratta di soggetti anche con problematiche psichiatriche e infettivologiche (HIV e epatite B e C). Occorre quindi trovare alternative alla detenzione attraverso Comunità il cui operato deve essere costantemente monitorato”.

“La negazione di libertà, soprattutto nei casi di tossicodipendenza, non può prescindere da attività trattamentali specifiche e da una programmazione personalizzata degli impegni individuali con tempi e spazi adeguati alle terapie riabilitative. I Penitenziari non sono idonei a queste finalità e al contrario sembrano piuttosto favorire la tossicodipendenza anche perché le iniziative e le attività sono troppo poche. Nonostante la buona volontà degli psichiatri e degli operatori dei SERD, che effettuano il servizio negli Istituti di Pena, le persone che hanno alle spalle una lunga storia di dipendenza non sono in grado – sottolinea Caligaris – di sostenere un regime detentivo. Molti di loro peraltro insieme alla tossicodipendenza convivono con gravi disturbi psichici che alterano ulteriormente il profilo della personalità compromettendo spesso la convivenza dentro le celle e mettendo a dura prova il lavoro degli specialisti oltre che degli Agenti Penitenziari, talvolta non preparati ad affrontare le situazioni di crisi”.

“La tossicodipendenza, inoltre, è spesso legata a condizioni socio-economico-culturali di difficile rimozione, ridefinizione e gestione con il risultato che anche quando si registra un netto miglioramento del detenuto-paziente, il suo ritorno a casa in regime di detenzione domiciliare coincide spesso – conclude la presidente di SDR – con la ripresa delle vecchie abitudini. Ne consegue la tendenza a non rispettare le prescrizioni stabilite dal Magistrato di Sorveglianza per la concessione del beneficio e il ritorno in cella. E’ evidente insomma che si attiva un circolo vizioso impossibile da interrompere senza una forte presenza esterna degli operatori dei Servizi Sociali. E’ opportuno riflettere sulla Jihad e sul proselitismo, ma le carceri sarebbero molto più sicure se i tossicodipendenti fossero curati adeguatamente e se fossero garantiti a tutti attività. Stare chiusi in cella a guardare il soffitto non serve”.

 

Cagliari, 19 novembre 2015

 

 

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