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CARCERI: AL COLLASSO COLONIE PENALI IS ARENAS, MAMONE E ISILI PER CARENZA DETENUTI

9 febbraio 2015 Nessun Commento

“Paradossale situazione nelle tre Colonie Penali della Sardegna, le Case di Reclusione dove sono ubicate le aziende agricole in cui si praticano agricoltura e allevamento. A fronte di circa 750 posti disponibili attualmente vi lavorano soltanto 284 detenuti. Numeri particolarmente significativi se si considera che le aree in questione occupano complessivamente circa 6.200 ettari. Si configura insomma un collasso delle attività lavorative e produttive con pesanti negative ripercussioni sulle finanze dello Stato”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, richiamando l’attenzione sulla necessità di “consentire l’accesso alle Colonie Penali ai detenuti che debbano scontare una pena residua di almeno 6/8 anni”.

“In Sardegna, gli ultimi dati del Ministero della Giustizia, evidenziano – sottolinea – una condizione critica delle Colonie. A Is Arenas (Arbus), 2.700 ettari di territorio comprese spiaggia e terre incolte, lavorano 72 detenuti per 176 posti disponibili. Non è diversa la situazione di Mamone (nel territorio di Lodè) dove per la stessa estensione territoriale sono presenti 123 reclusi per una capienza regolamentare di 392. Analogamente a Isili (800 ettari) lavorano 89 ristretti per 180 posti”.

“E’ evidente che l’ampia disponibilità di lavoro agro-pastorale contrasta – evidenzia la presidente di SDR – con la concentrazione di cittadini privati della libertà totalmente inattivi in altre strutture penitenziarie ponendo in risalto la necessità di rivedere, almeno in parte, i criteri per l’assegnazione dei ristretti alle Colonie in modo da rendere produttive le aziende e rafforzare il programma di recupero dei reclusi. Le strutture all’aperto peraltro sono assegnate a Direttori con doppi e tripli incarichi senza contare le carenze delle figure amministrative”.

“Attualmente per accedere alle Colonie agricole la pena inflitta e/o residua non deve superare i 4 anni, il detenuto deve aver mantenuto una condotta costantemente corretta e deve possedere l’idoneità sanitaria. Prima del trasferimento inoltre ciascun recluso deve sottoscrivere un patto trattamentale con il quale si impegna non solo a rispettare le regole ma a partecipare attivamente alla vita della Colonia. Ciò significa – ricorda Caligaris – una responsabilizzazione personale molto importante per la riabilitazione sociale. Durante la permanenza il detenuto, che gode di una certa libertà di movimento dovendo svolgere attività lavorative, viene professionalizzato nei diversi settori dall’apicoltura alla potatura, dalla tosatura alla produzione di formaggi. Le Case di Reclusione all’aperto della Sardegna producono infatti il marchio Galeghiotto ma con un numero insufficiente di detenuti/lavoratori si corre il serio rischio di far naufragare il progetto”.

“Diventa dunque necessario – conclude – modificare il criterio di accesso alle Colonie portandolo almeno da 4 a 6/8 anni. In questo modo, pur con una ineliminabile valutazione del comportamento da parte dell’equipe d’Istituto, del tipo di reato e delle condizioni di salute, sarà possibile ridare slancio alle tre strutture alternative. Senza questa indispensabile modifica, da attuarsi in tempi rapidi, sarebbe più opportuno liberalizzare i territori, restituendoli alle amministrazioni locali per una valorizzazione, e promuovere cooperative sociali in cui possano trovare sbocco lavorativo anche gli ex detenuti”

 

Cagliari, 9 febbraio 2015

 

 

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