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ARCHITETTURA AGGRESSIVA una riflessione di Maurizio Ciotola, socio SDR

7 ottobre 2014 Nessun Commento

l’architettura urbana, in questo Paese, nelle sue applicazioni tangibili e non immaginifiche, non accademiche, sta morendo sotto il peso del cemento e delle pietre cavate senza riguardo.

 

è spoglia e repellente, incompatibile con il naturale habitat, che per millenni ci ha accolto senza aggredire la nostra psiche, il nostro spirito, la nostra essenza.

 

non solo, ma la sua corrente dominante è incline al richiamo industriale, commerciale, che agevola e promette glorie, vette di notorietà garantite sui e nei canali con i quali essa è attribuita, a prescindere, in modo quasi incontestabile.

 

la commercializzazione dell’architettura e con essa dell’architetto, ha abbruttito il nostro spazio quotidiano, che negli ambienti urbani diventa opprimente e aggressivo, figlio degenere di un decadente imperialismo postmoderno.

 

una urbanizzazione incontrollata e per lo più piegata ai voleri dei grandi e piccoli imprenditori edili, ha plasmato nell’ambito di regole scritte, brutture sconosciute fino a diversi decenni fa.

 

percorrere le vie apparentemente rinnovate di gran parte delle città italiane,  ci porta ad identificare storicamente, cronologicamente, il degrado architettonico con il quale, inseguendo il lucro e la speculazione, esse si sono via via abbruttite.

 

siamo tutti consci di ciò che, in passato ha permesso a tanti di mettere le mani sulle città e a continuare fino ai giorni nostri con un apparente miglioramento nel design e dei materiali impiegati, mantenendo però costante il profilo intrinseco e ostico del vivere.

 

l’ambiente urbano è oggi invivibile sul piano umano, per ciò che esso genera sul piano psicologico e sociale.

 

la fuga permanente dai centri urbani è una realtà, che porta gli stessi fuggiaschi a realizzare, troppo spesso, brutture ancora più evidenti con aggregati ai margine degli stessi in alcuni casi, polmoni ambientali in molti altri.

 

ma l’urbe, in senso lato, capta e cattura, imprigiona e violenta chi la vive nei suoi ambiti più degradati.

 

le pietre possono parlare e suonare armoniosamente, come il grande Sciola insegna, ma esse diventano monumenti nel deserto se, intorno ad esse, non esiste armonia, fagocitata dalla bruttura di una architettura in declino, specchio del medesimo declino sociale di cui non vogliamo renderci conto.

 

nel proiettarsi a cogliere il sociale, l’essenza culturale in cui vanno realizzati, questo “fare” deve poter vibrare con essa, costituirne parte unitaria, sincronicamente, partecipando di quel concetto ellenico di bellezza in sé di cui si è perso traccia, nelle opere e negli insegnamenti.

maurizio ciotola, SOCIO SDR

 

cagliari, 4 ottobre 2014

 

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