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YARA GAMBIRASIO: UN ITER GIUDIZIARIO PIENO DI INTOPPI di Maurizio Ciotola

8 luglio 2014 Nessun Commento

nell’osservare con rispetto, l’operato dei magistrati inquirenti, dei periti e delle forze dell’ordine, che hanno indagato e indagano sull’omicidio di Yara Gambirasio, è necessario prendere atto, con giudizio, di ciò che ha prodotto l’iter giudiziario, nei confronti dei non sospettati e tanto meno imputabili dell’omicidio.

 

l’indagine avviata in una generale assenza di indizi, oltre che del corpo della stessa Yara, ha condotto in una prima fase ad un clamoroso errore, a causa del quale un cittadino tunisino è stato arrestato ed indicato come il presunto assassino.

 

ci si è accorti, dopo la carcerazione, che l’intercettazione telefonica, affetta da una errata se non travisata traduzione, non poteva costituire per nessun motivo un capo di accusa.

 

malgrado ciò il tunisino Mohamed Fikri è stato ospitato nelle carceri nostrane, liberato senza scuse, tanto che i capi pendenti dell’accusa sono stati ritirati solo tre anni dopo.

 

poco dopo questo episodio è stato ritrovato il corpo della povera Yara. dalla conseguente analisi avviata sui suoi indumenti, sono state rilevate tracce di sangue non compatibili con quelle della ragazza.

 

da quel momento è scattata la caccia all’assassino sulla base dei test del dna,  cui sono state sottoposte centinaia di persone, che direttamente o incidentalmente sono entrate in contatto con Yara.

 

è stata realizzata una mappa, contraddistinta dagli specifici dna, da cui sono emerse molteplici relazioni e il capo di accusa, che tutti oggi conosciamo, nei confronti del principale ed unico indiziato.

 

bene, anzi male, malissimo. perché questa mappa, una parte di essa, nel divenire di dominio pubblico, grazie ad una mancata custodia e protezione della privacy, di coloro che sono stati sottoposti al test da parte della magistratura, hanno fatto emergere aspetti relazionali totalmente estranei alle indagini.

 

si è reso pubblico un segreto, che ha scosso un’intera famiglia sui tre livelli generazionali, compromettendo i rapporti di solidarietà e fiducia al suo interno e nei loro confronti.

 

è stata distrutta una relazione figliare, materna, coniugale, esponendo tutti i componenti di quel nucleo familiare a pubblico ludibrio di fronte alla nazione intera e agli abitanti del piccolo paese in cui vivono.

 

la mappatura genetica cui centinaia di persone si sono sottoposte, ha sì contribuito a giungere all’individuazione di un possibile autore dell’omicidio, ma questa non ha preservato i soggetti sottoposti al test, facendo emergere informazioni, che sarebbero dovute rimanere riservate.

 

è nostro dovere denunciare il pericolo che, in generale, deriva da una simile gestione di queste particolari informazioni sui cittadini, che come nel nostro caso non abitano in una dittatura, ma in una nazione in cui vige la democrazia e in cui, primariamente, devono essere riconosciuti i diritti degli stessi.

 

in questo caso, come in troppi casi oramai, una parte della magistratura, fortunatamente minoritaria, si è mossa per perseguire i propri fini, sospendendo le regole democratiche e di garanzia vigenti in un Paese libero.

 

questo non è accettabile, e non possiamo più concedere mutamenti abnormi del ruolo specifico di cui è investito ogni singolo magistrato, che sentendosi un “soldato” della giustizia, più che un garante della stessa, cede al fanatismo investigativo.

 

è necessario ripristinare ambiti e ruoli a garanzia e tutela dei diritti di ogni cittadino, non solo di alcuni o di alcune élite, oltreché della magistratura stessa, cui questi fatti minano la tenuta del dettato costituzionale, in merito alla loro autonomia, anch’essa garanzia essenziale.

 

maurizio ciotola

 

cagliari, 28 giugno 2014

 

pubblicato su “L’Unione Sarda” del 3 luglio 2014

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