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SARDEGNA QUOTIDIANO – PERCHE’ IL DECRETO SEMBRA FIGLIO DI UN DIO MINORE di Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “Socialismo Diritti Riforme”

8 luglio 2013 Nessun Commento
SARDEGNA QUOTIDIANO

GOVERNO E CARCERI – PERCHE’ IL DECRETO SEMBRA FIGLIO DI UN DIO MINORE di Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “Socialismo Diritti Riforme”

            Nessun dubbio sul fatto che la neo Ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri sappia di ciò che parla. Non è infatti insignificante che, presentato il provvedimento al Consiglio dei Ministra, abbia dichiarato la sua adesione convinta a un’indispensabile amnistia. E’ pienamente consapevole infatti che il nuovo decreto del Governo Letta non è in grado di restituire piena dignità alla detenzione così come non eviterà la sanzione della Corte di Strasburgo. Lo dicono anche le previsioni più ottimistiche che fanno ritenere in due anni la riduzione di 6 mila detenuti nelle 206 carceri italiane. Numeri però che contano poco se si considera che la capienza regolamentare è di circa 45 mila posti e i cittadini privati della libertà sono 67 mila.

            Il decreto Cancellieri insomma è figlio di un Dio minore, esattamente come lo è stato quello di Paola Severino. Entrambi sono condizionati dal primo “svuota carceri” dell’ex Guardasigilli Angelino Alfano. Il problema infatti non è solo quello del numero eccessivo di detenuti dietro le sbarre, ma che alle condizioni di invivibilità determinate dagli spazi angusti, si aggiunge l’inattività a cui sono costretti i cittadini privati della libertà e la reclusione per almeno 20 ore al giorno. L’esempio di Buoncammino a Cagliari è emblematico. 500 detenuti per 345 posti regolamentari e una costante inerzia dentro le celle che impedisce qualunque rieducazione. Una situazione riscontrabile ovunque in evidente contrasto con la Costituzione. Attualmente inoltre è notevolmente peggiorata perché il Paese attraversa una pesante crisi economica con risvolti ancora più negativi per i detenuti ai quali è negato il più delle volte l’accesso al lavoro per assenza di opportunità. In realtà come la Sardegna è ancora peggio.

            Le strutture penitenziarie dunque sono fuori legge perché l’applicazione delle pene segue un iter non più rispondente alle finalità per le quali la detenzione è stata istituita. Per essere ancora più chiari occorre dire che le carceri italiane sono strettamente legate a principi costituzionali, mentre qualche legge, come quella che punisce il reato di clandestinità, non lo è affatto. Diventa quindi indispensabile rivedere il sistema giudiziario ristabilendo un equilibrio tra reato e pena. Il decreto Cancellieri invece è nato in un contesto politico anomalo che non permette interventi riformatori. Le “larghe intese” non consentono di agire perseguendo finalità conseguenti a indirizzi definiti.            

Ad aggravare la situazione è il diffuso senso di insicurezza. La realtà sociale è quotidianamente rappresentata come un luogo di pericolosa convivenza, dove è necessario vivere esercitando costante attenzione e diffidenza verso il prossimo. Anziché operare sul fronte del riequilibrio della ricchezza, delle opportunità e della prevenzione del disagio sociale, si è individuato il carcere come luogo ideale dove nascondere le difficoltà.

Un decreto non può ristabilire un patto violato tra Stato e cittadino. Può aiutare a rivalutare alcuni aspetti problematici. E’ evidente che favorire le pene alternative, l’affidamento ai servizi sociali, i lavori socialmente utili così come assegnare ai domiciliari persone anziane e ammalate o le donne con bimbi in tenerissima età, ha un preciso significato, apprezzabile sotto qualunque profilo, ma non risolutivo di una condizione insostenibile. Il decreto Cancellieri insomma sembra piuttosto voler ricordare che esistono pene alternative al carcere per moltissime persone e va benissimo, ma purtroppo non basta. L’ultima parola spetta al Parlamento per migliorare il testo e promuovere un’azione riformatrice. Subito però serve un po’ di coraggio.

 

 

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