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SARDEGNA QUOTIDIANO – MARTEDI’ 4 GIUGNO 2013 – Una “Sorveglianza” e pochi Magistrati di Maria Grazia Caligaris, presidente SdR

21 giugno 2013 Nessun Commento

            Una sproporzione esorbitante tra carico di lavoro e numero di Magistrati, una scarsa conoscenza dei loro compiti, delle competenze e delle attività nonché la forte esposizione alle pressioni dall’opinione pubblica costituiscono le principali criticità della Magistratura di Sorveglianza. L’Istituzione, che ha il compito di vigilare sull’organizzazione delle carceri, con particolare riferimento alla rieducazione delle persone private della libertà e alla tutela dei diritti di coloro ormai definitivi, subisce costanti limitazioni dei poteri mentre ne vengono sempre più estesi i compiti. Basti pensare che negli ultimi 4 anni, sempre lo stesso numero di addetti, non solo ha dovuto far fronte al sovraffollamento ma dare gambe alla cosiddetta “svuotacarceri”. Con la legge che consente al detenuto di espiare l’ultimo anno e mezzo di pena agli arresti domiciliari, in particolari condizioni (tipo di reato, casa, famiglia e relativa disponibilità economica), si è ulteriormente gravato l’Ufficio di Sorveglianza di incombenze costringendolo a una serie di indagini e verifiche per poter concedere un beneficio peraltro destinato a pochi “privilegiati”.

 In particolare in Sardegna, il numero dei Magistrati di Sorveglianza, che operano individualmente oltre che collegialmente come Tribunale, è rimasto pressoché stabile dal 1998. Erano e sono otto compresi due Presidenti (Cagliari e Sassari). Allora però il numero dei detenuti era notevolmente inferiore ma, soprattutto, era molto semplificato il quadro delle pene. Non deve essere inoltre sottovalutato un aspetto particolarmente delicato quello cioè relativo alla tipologia del detenuto. La presenza di un elevato numero di tossicodipendenti ed extracomunitari spesso senza famiglia o totalmente estranei al tessuto socio-economico della regione in cui stanno espiando la pena rende molto più complesso e difficile il ruolo del Magistrato, che è esposto ad alto rischio di errore di giudizio sulla persona alla quale deve concedere i benefici.

L’eccessivo peso burocratico inoltre condiziona pesantemente la sua possibilità di svolgere l’attività a stretto contatto con i detenuti. E’ divenuto quindi indispensabile che abbia un Ufficio nelle strutture penitenziarie chi ha il compito di approvare il programma di trattamento rieducativo individualizzato, che l’amministrazione penitenziaria deve predisporre per ogni detenuto, concedere dei permessi o ammettere al lavoro esterno o assumere una decisione sulla liberazione anticipata (45 giorni ogni 6 mesi per il detenuto che positivamente partecipa all’azione rieducativa). La presenza in Istituto con il costante contatto con i cittadini privati della libertà richiede però un numero adeguato di Magistrati di Sorveglianza. Hanno  infatti per legge l’obbligo di recarsi frequentemente in carcere e di effettuare colloqui con i detenuti che chiedono di parlargli ma ciò diventa impresa ardua quando, com’è nel caso di Buoncammino, i detenuti sono sempre in numero crescente e le incombenze sul fronte sanitario straordinarie.

            Tra gli aspetti che rischiano di limitare fortemente l’attività del Magistrato di Sorveglianza, costringendolo a decisioni molto meditate, ci sono le implicazioni socio-politiche e l’esposizione mediatica. Una società che alimenta nell’opinione pubblica una concezione vendicativa della pena tende a sopravvalutare e a voler vedere rafforzata la cosiddetta “sicurezza” a discapito di equità e corretta espiazione.

Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “Socialismo Diritti Riforme”

Cagliari, 2 giugno 2013

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