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DERIVA SOCIETA’ DETERMINATA DA FALLIMENTO UNIVOCA E ARBITRARIA GESTIONE TUTTA AL MASCHILE DELLA POLITICA di Maurizio Ciotola

14 marzo 2013 Nessun Commento

Nell’affrontare il problema relativo alla discriminazione di “genere”, operata nei confronti del genere femminile, meno in auge di quello omosessuale, che genere non è, abbiamo il dovere e la necessità di capire se le Leggi hanno una funzione “culturale” ed educativa o se nascono per regolamentare e garantire rapporti e relazioni in un ambito sociale e politico.

Perché se esiste una tendenza, un pensiero radicato in una certa fascia di popolazione, sia o no, tecnicamente funzionale all’utilizzo delle leggi, magistrati, avvocati, docenti di diritto, in cui è predominante credere nel loro eventuale portato educativo, dobbiamo rilevare che,  esso è smentito quotidianamente dai fatti con cui, quegli stessi tecnici, si trovano ad operare nei tribunali.

 La Costituzione di un Paese democratico ha lo scopo di rimuovere gli ostacoli e i vincoli culturali per ergere i pilastri intorno ai quali edificare, attraverso l’emanazione legislativa, una regolamentazione in astratto, capace di regolare i rapporti umani.

quella stessa Costituzione si richiama a principi e diritti universali operando, sempre in astratto, la rimozione dei vincoli morali e culturali in contrasto con i principi di libertà ed uguaglianza oltre che, rimuovere consuetudini derivanti da imposizioni, relative a leggi scritte in precedenza alla promulgazione della Carta.

 La nostra Costituzione, al suo art. 3 fissa il diritto di uguaglianza per tutti i cittadini di fronte alla legge, chiamando in causa lo Stato al fine di rimuovere qualsiasi ostacolo, economico e sociale, teso alla limitazione dell’uguaglianza degli stessi cittadini.

 Detto ciò, mi affretto a sostenere che, qualsiasi legge, non già orientata a specificare o fissare nei rispettivi ambiti questo principio, ma volta a definirlo “quantitativamente” per alcune specifiche categorie, su un piano di incompleta astrazione, ovvero, come e a cosa debba ricondursi tale concetto di uguaglianza, fissandolo nella fattispecie sul piano quantitativo, opera una discriminazione.

 Non solo, ma pensare che, l’avversione di genere in ambito politico, come in quello lavorativo, sia rimovibile attraverso una legge, che non si cura dell’ancora “fertile” tessuto “culturale”, causa di questa discriminazione, ha evidentemente dell’irragionevole.

 Non una norma così superficiale occorre per una società, che annovera forme di violenza e repressione nei confronti delle donne e degli omosessuali, ma una legge capace di trasferire in ambito educativo e culturale, propri della scuola, dell’università, delle associazioni culturali e dell’arte, risorse e progetti mirati ad estirpare questa piaga sociale.

 Una legge, che impone in senso quantitativo la presenza delle donne in Consiglio Regionale, curandosi di fatto, ben poco, della regolamentazione e del suo funzionamento, nei fatti avverso alla parità di genere, illude senza risolvere.

 E’ un atto  finalizzato a deviare l’attenzione dai giochi con i quali i “campioni”, del genere maschile, lavorano indisturbati per occupare la “pole position”  nella corsa alla Presidenza della Regione, escludendo qualsiasi candidato femminile.

 Una ulteriore concessione, ma di accesso ad un ruolo ancellare,  relegando ancora una volta le donne a corollario di un potere tutto al maschile che, analogamente si esprime quasi ovunque salvo che, nei ruoli di servizio per la comunità. Ed è per questo e da questo, che bisognerebbe ripartire per comprendere le potenzialità del loro senso comunitario, di gran lunga superiore a quello maschile, e che oggi dovrebbe costituire il principio attraverso cui rigenerare le basi della società, la cui deriva è determinata dal fallimento dell’univoca e arbitraria gestione tutta al “maschile”.

maurizio ciotola

 Cagliari, 5 marzo 2013

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