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IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA DEL TAR SARDEGNA SULLA GIUNTA REGIONALE “A SESSO UNICO”.

2 agosto 2011 Nessun Commento

N. 00864/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01111/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1111 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Francesca Barracciu, Claudia Zuncheddu, ASSOCIAZIONE AMISTANZIA, Movimento d’opinione FIDAPA, associazione SOCIALISMO DIRITTI RIFORME, Paola Silvas, Associazione di Cagliari “Articolo 21 Liberi di”, Piera Bisson, Amalia Schirru, Antioco Porcu, Graziano Ernesto Milia, Rita Corda, Laura Pulga, Romina Mura, Luisa Anna Depau, Vincenzo Strazzera, Marcello Belelli, Antonio Muggianu, Michela Mura, Francesco Angelo Meloni, Elisabetta Dettori, Laura Meloni, Rosanna Rossi, Anna Maria Deidda, Rosanna Carboni, Luisa Sassu, Daniela Porru, Daniela Serra, Maria Rita Cicotto, Patrizia Saba, Giuseppina Rita Noli, Antonietta Zanzu, Giuseppina Caddeo, Giovanni Cappai, Dario Belelli, Stefania Spiga, Caterina Deidda, Marina Podda, Patrizia Desole, Giovanni Maria Cocco, Maria Tecla Brai, Daniela Cardia, Raimonda Pilleri, Patrizia Corrias, Maria Grazia Puddu, Maria Francesca Pisu, Anna Maria Demurtas, Virginia Soi, Isabella Murtas, Rossella Diana, Tamara Casu, Marinella Boi, Monica Spanedda, Nives Biosin, Sara Marras, Franca Zedde, Maria Antonietta Sale, Maria Lucia Cocco, associazione NOI DONNE 2005, Marras Alessia, Giovanna Maria Meleddu, Rosa Mele, Franca Corriga, Lydia Mereu, rappresentati e difesi dall’avv. Costantino Murgia, con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del medesimo legale, viale Bonaria n. 80;

contro

la Regione Autonoma della Sardegna, in Persona del Presidente P.T., rappresentato e difeso dagli avv.ti Mattia Pani e Alessandra Putzu, con domicilio eletto in Cagliari presso l’Ufficio Legale della Regione Sarda, viale Trento n. 69;
il Presidente P.T. della Regione Sardegna, non costituito in giudizio;

nei confronti di

dei signori:
Ugo Cappellacci, Antonello Liori, Giorgio La Spisa, Mario Floris, Nicolò Rassu, Giorgio Oppi, Oscar Cherchi, Sergio Milia, Angelo Carta, Sebastiano Sannittu, Luigi Crisponi, Christian Solinas, Mariano Ignazio Contu, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

• del Decreto n. 138/04.10.2010 con il quale il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna ha nominato componenti della Giunta Regionale i Signori: Mario Floris; Giorgio La Spisa; Giorgio Oppi; Andrea Prato; Oscar Salvatore Giuseppe Cherchi; Francesco Manca; Sergio Milia; Antonio Angelo Liori; Mario Angelo Giovanni Carta;

• del Decreto n. 141/05.10.2010 con il quale il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna ha nominato componenti della Giunta Regionale i signori: Nicolò Rassu e Sebastiano Sannitu;

• del Decreto n. 143/06/10/2010 con il quale il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna ha nominato componente della Giunta Regionale il Sig. Luigi Crisponi;

del decreto n. 27/28.02.2011/prot. 4413, con il quale il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna ha nominato componente della Giunta Regionale il dott. Christian Solinas;

del decreto n. 32/07.03.2011/prot. 5104, con il quale il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna ha nominato componente della Giunta Regionale il dott. Mariano Ignazio Contu;

• di ogni altro atto ad essi presupposto, inerente o conseguenziale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 giugno 2011 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 27 novembre 2010 e depositato il successivo 16 dicembre, i ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti di nomina dei componenti della Giunta Regionale della regione Sardegna precisati in epigrafe lamentandone l’illegittimità per i seguenti motivi:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 51, comma 1°, 117, comma 7° e 114, comma 1°, della Costituzione; dell’art. 1 del D.Lgvo 11.4.2006 n. 118; dell’art. 1 del D.Lgvo 25.1.2010 n. 5; del D.Lgvo 11.4.2006 n. 198; dell’art. 15, comma 2°, e dell’art. 17 dello Statuto Sardo; dell’art. 3, comma 2°, della legge 31.1.2001 n. 2 – Eccesso di potere: in quanto, essendo i soggetti nominati componenti della giunta regionale sarda tutti di sesso maschile, si sarebbe integrata una violazione delle disposizioni, anche costituzionali, che prevedono e tutelano le pari opportunità tra uomini e donne nella composizione agli organi amministrativi.

Concludevano quindi i ricorrenti chiedendo, previa sospensione, l’annullamento del provvedimento impugnato, con ogni conseguente pronuncia anche in ordine alle spese del giudizio.

Per resistere al ricorso si è costituita l’amministrazione regionale che, con difese scritte, dopo averne eccepito l’inammissibilità sotto diversi profili, ne ha chiesto il rigetto, con favore delle spese.

Con ordinanza n. 43 del 19 gennaio 2011 l’esame dell’istanza cautelare è stato rinviato per essere deciso unitamente al merito della causa.

Successivamente alla proposizione dell’impugnazione, all’Assessore Mario Angelo Giovanni Carta è subentrato il dott. Christian Solinas (decreto n. 27/2011), e all’Assessore Andrea Prato è subentrato il dott. Mariano Ignazio Contu (decreto n. 32/2011).

Con ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 aprile 2011, anche tali provvedimenti integrativi della composizione della Giunta sono stati impugnati dai ricorrenti, che hanno esteso anche nei loro confronti le censure già esposte nell’atto introduttivo del giudizio.

In vista dell’udienza di trattazione le controparti hanno integrato le rispettive difese con ulteriori scritti.

Alla pubblica udienza del 29 giugno 2011, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa regionale.

Con la prima eccezione quest’ultima eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di legittimazione attiva di tutti i ricorrenti, sostenendo che l’azione esercitata non sarebbe correlata alla titolarità di una posizione giuridica qualificata.

Il Collegio ritiene sul punto che, anche a prescindere dalla legittimazione di coloro che si qualificano come semplici elettori residenti in Sardegna e di taluni consiglieri regionali, l’eccezione non possa trovare accoglimento con riguardo all’azione proposta dalle Associazioni costituite per la tutela dei diritti delle donne.

Come risulta dall’epigrafe, infatti, l’impugnazione degli atti di nomina è stata proposta anche da talune associazioni culturali e da movimenti di opinione costituiti in federazione che prevedono espressamente, nel loro atto costitutivo, lo scopo di operare per “…l’affermazione delle pari opportunità tra donne e uomini e per le realizzazione delle relative azioni positive…” (cfr. Statuto Associazione culturale e di Promozione sociale “noiDonne 2005”); o ancora per “…valorizzare il pensiero e l’esperienza femminile in ogni campo dell’attività umana; aumentare la presenza delle donne e rafforzarne il ruolo nei processi di governo ai diversi livelli, all’interno delle istituzioni e degli enti , nella vita pubblica in generale…” (cfr.Atto costitutivo dell’Associazione politico culturale AMISTANZIA, Donne sarde del centrosinistra).

Nello stesso senso, si legge nello Statuto Nazionale della FIDAPA che lo scopo dell’Associazione è, tra l’altro, quello di “…adoperarsi per rimuovere ogni forma di discriminazione a sfavore delle donne, sia nell’ambito della famiglia che in quello del lavoro, nel pieno rispetto delle norme in materia di pari opportunità”; e ancora che tra gli scopi dell’Associazione Culturale SOCIALISMO, DIRITTI RIFORME rientra (vedi atto costitutivo) quello di “… accrescere e diffondere la cultura dei diritti e delle rispetto delle norme vigenti” contro ogni forma di emarginazione “…di quanti si trovano in una condizione di debolezza per motivi di …sesso …”

Orbene, in relazione all’impugnazione proposta dalle menzionate associazioni, il Collegio osserva che la legittimazione a ricorrere di una associazione deriva dalla sua posizione di rappresentatività, desumibile dalle finalità statutarie e dall’attività di tutela degli interessi collettivi della categoria di riferimento, unitariamente considerata, con conseguente esclusione della legittimazione solo quando non sia certo che gli interessi degli iscritti siano univocamente conformi a quello a tutela del quale l’associazione agisce.

Pertanto ove l’associazione ricorrente abbia depositato, come nel caso di specie, copia del proprio statuto, provato che il ricorso è proposto a tutela di finalità istituzionali sue proprie e che non sussiste alcun contrasto di interessi fra i propri associati, il suddetto onere probatorio risulta assolto.

Sotto questo profilo non appare decisivo l’argomento contrario contenuto nella memoria depositata dalla difesa regionale in data 8 giugno 2011, pag. 9, secondo il quale la documentazione prodotta non proverebbe i requisiti, necessari ai fini del riconoscimento della legittimazione a ricorrere di un’associazione, consistenti in uno stabile collegamento con il territorio interessato dal provvedimento impugnato e lo svolgimento di un’azione amministrativa dotata di adeguata consistenza e rappresentatività degli interessi che si intendono tutelare (nel senso che lo scarso numero di soci iscritti alle singole associazioni non consentirebbe di identificarle come portatrici di interessi diffusi).

Ed invero, quanto allo stabile collegamento territoriale, si rileva che dalla documentazione depositata il 12 gennaio 2011 dalla difesa delle ricorrenti, e precisamente dalle dichiarazioni delle legali rappresentanti delle associazioni, si ricava per tutte la sussistenza di uno stabile collegamento col territorio regionale, nel quale hanno sede e svolgono tutta la loro attività associativa.

Quanto alla ritenuta scarsa rappresentatività delle stesse per il ritenuto esiguo numero di iscritti, deve ritenersi che una lettura costituzionalmente orientata del principio di effettività della tutela non consenta limitazione all’esperimento di iniziative giurisdizionali ad associazioni sulla base di criteri meramente quantitativi, essendo la legittimazione un concetto qualitativo che si fonda, piuttosto, sulla titolarità delle situazioni giuridiche soggettive tutelate dall’ordinamento.

Con la seconda eccezione d’inammissibilità la difesa regionale sostiene che il ricorso in esame censurerebbe nel merito un atto politico, per sua natura insindacabile e insuscettibile di impugnazione.

Neanche tale eccezione merita accoglimento.

E’ pacifico ed incontestato che in Sardegna il Presidente della Regione è diretta espressione del corpo elettorale e che tra i suoi compiti rientra quello di nominare gli assessori e dirigere la politica della Giunta, assumendone la responsabilità.

Sennonchè la circostanza che il potere di nomina dei componenti della giunta sia attribuito direttamente dalla Costituzione al presidente eletto (art. 122, ult. co., Cost.; art. 3. comma 2°, L.Cost. n. 2/2001) non rende l’atto di nomina un atto politico tout court e tanto meno lo sottrae alla garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale.

La stessa Corte regolatrice della giurisdizione, ha osservato che il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le amministrazioni, anche di rango elevato e di rilievo costituzionale, concludendo che “non sono quindi, per i loro caratteri intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ridotto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in ordine ai quali l’intervento del Giudice determinerebbe un’interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri (si pensi ad atti del Presidente della Repubblica quali la concessione di una grazia, o lo scioglimento delle camere, o – se si vuole- a taluni atti del Consiglio Regionale quale il voto si sfiducia al Presidente della Regione ex art. 43 dello Statuto Regionale del Lazio)” (Cass. SS.UU., 18 maggio 2006, n. 11623, che ha riconosciuto la giurisdizione amministrativa sul provvedimento di nomina dei componenti dell’A.R.P.A. lombarda).

Nel caso in esame, ad avviso del Collegio, non si può dire che la nomina degli assessori regionali costituisca un atto oggettivamente non amministrativo che realizza scelte di specifico rilievo costituzionale e politico e come tale non sindacabile a pena di interferire nell’esercizio di altro potere, straripando dai limiti di quello giurisdizionale.

Il provvedimento di nomina degli assessori non contiene scelte programmatiche, non individua i fini da perseguire nell’azione di governo e non ne determina il contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo) politico e neppure direttiva di vertice dell’attività amministrativa.

La suggestione derivante dalla natura fiduciaria del rapporto che lega i nominati al nominante, il quale certamente gode della più ampia discrezionalità nella scelta delle persone dei suoi assessori, non consente, contrariamente a quanto opinato da parte resistente, di ritenere che l’atto di nomina dei componenti della giunta regionale possa prescindere dal rispetto dei limiti dettati in materia di pari opportunità dalla nostra Carta Costituzionale, giacchè l’ampiezza delle valutazioni di opportunità che guidano il Presidente nell’individuazione degli Assessori non deve comunque travalicare la disciplina dell’esercizio della funzione amministrativa di organizzazione dell’ente regionale, ancorché esercitata – con tale atto – al più alto livello.

Si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo, l’emanazione del quale è sottoposta all’osservanza delle disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere, il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede giurisdizionale .

Va ribadito, infatti, che l’ampiezza della discrezionalità nella nomina e i motivi legati ad equilibri interni di coalizione – solo in questo senso definibili “politici” e come tali insindacabili- non possono, di per sé, sottrarre l’atto al giudizio di legittimità sul rispetto delle norme che ne dettano la disciplina procedurale e sostanziale (ed a riprova di ciò possono citarsi diverse pronunce di giudici amministrativi che hanno annullato gli atti di nomina di organi c.d.“politici”) cioè alla tutela garantita, sul piano generale, contro i provvedimenti illegittimi, dall’art. 24 Cost., né la natura strettamente fiduciaria del rapporto può ritenersi sufficiente ad evitare il sindacato sulla validità (legittimità) stessa della sua instaurazione.

Può quindi passarsi all’esame del merito del ricorso, che è fondato.

Ritiene il Collegio di procedere innanzitutto ad una ricognizione delle fonti, partendo da quella di livello costituzionale, non prima di aver ricordato che la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo aver affermato in termini generali, all’art. 21, che “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso…”, ancor più precisamente all’art. 23, rubricato “Parità tra uomini e donne”, recita che “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi

specifici a favore del sesso sottorappresentato”.

Orbene, l’art. 51, primo comma della Costituzione stabilisce che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

La norma pone, ai fini del presente giudizio, due fondamentali problemi: quello della portata effettiva del principio di pari opportunità e quello degli strumenti necessari per darvi compiuta attuazione, aspetto che coinvolge anche l’ulteriore questione concernente la portata programmatica o precettiva della disposizione.

Sotto il primo profilo, appare sussistere un rapporto di continenza tra l’art. 51, primo comma ed il principio di uguaglianza di cui all’art. 3, secondo cui “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Pertanto, l’accesso in condizioni di eguaglianza ai pubblici uffici e cariche elettive, a prescindere dal sesso di appartenenza, costituisce specificazione del più generale principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, nel senso che la lettura combinata delle due norme costituzionali impone di rimuovere ogni ingiustificata distinzione o disparità di trattamento determinata da ragioni di sesso.

In questo modo può ritenersi che la Costituzione abbia inteso rafforzare il principio di uguaglianza sostanziale, riservando una disposizione specifica all’elemento discriminante costituito dal sesso. Va tra l’altro osservato che la disposizione di cui all’art. 51, coerentemente con la sua simmetria rispetto al principio di cui all’art. 3, muove dalla premessa di un’eguaglianza assoluta, nel senso che non si presume alcun preesistente rapporto di prevalenza del sesso maschile su quello femminile.

Ma se la pari opportunità nell’accesso alle cariche pubbliche è espressione del principio di uguaglianza sostanziale, il dato costituzionale deve intendersi come impositivo, nei confronti di chi sia chiamato a darvi applicazione, del principio di cui al secondo comma dell’art. 3, nel senso di pretendere la necessaria rimozione di tutti gli ostacoli che possono ingiustificatamente assegnare o mantenere posizioni di agevolazione o privilegio in favore di appartenenti ad uno dei sessi.

Passando al secondo punto dell’esame della fonte costituzionale, la questione della portata programmatica o precettiva dev’essere risolta tenendo conto dell’assimilazione del principio di pari opportunità all’accesso agli uffici pubblici e alle cariche pubbliche di cui all’art. 51 al principio fondamentale di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, e quindi dovendo riconoscere allo stesso natura di diritto fondamentale.

Al riguardo, pertanto, non può non riconoscersi immediata applicabilità al principio, inteso, ovviamente, come parametro di legittimità sostanziale di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite conformativo.

In particolare, la norma costituzionale, onde assicurare l’eguaglianza tra i sessi nell’accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive, affida alla Repubblica il promovimento delle pari opportunità attraverso appositi provvedimenti.

Pertanto, ferma restando la diretta applicazione del principio – tra l’altro confermata per espresso dictum costituzionale nella parte in cui l’art. 51 opera un riferimento a “provvedimenti”- la sua attuazione si ritiene debba avere innanzitutto luogo attraverso l’interposizione di fonti primarie o di altro livello.

E ciò anche nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., che presuppone, ai fini di una ottimale gestione della cosa pubblica, la possibilità per l’amministrazione di avvalersi anche delle sensibilità, dei valori e delle capacità decisionali peculiari del mondo femminile.

E anche al fine di consentire a tutti, uomini e donne, di concorrere al progresso materiale o spirituale della società, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 2°, Cost.

Tale è il senso del compito che la Costituzione affida alla Repubblica e quindi, per espressa previsione costituzionale, a Comuni, Province, e Regioni (art. 114).

Principi fondamentali sono così presenti in fonti statali, innanzitutto nel d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) che all’art. 1, che riprendendo le coordinate costituzionali, assicura la pari opportunità in tutti i campi, assegnando tale obiettivo a tutti gli attori istituzionali attraverso ogni possibile strumento di disciplina, normativo e non.

Ulteriore strumento di attuazione, nonché nodo di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata, è costituito dagli statuti comunali e provinciali che, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, “stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti”.

Per le Regioni, l’art. 117, comma 7°, Cost. ulteriormente precisa che “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

Alla luce delle anzidette considerazioni generali, può passarsi all’esame della specifica questione concernente la Regione Sardegna, ove l’art. 15 dello Statuto regionale stabilisce che “Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”.

Sostiene la difesa regionale che la mancanza, allo stato, di una legge regionale attuativa della prescrizione costituzionale, non potrebbe autorizzare un’interpretazione del quadro normativo tale da restringere indebitamente le prerogative presidenziali, riconosciute dalla legge costituzionale n. 2/2001, in ordine alla libera scelta dei componenti della Giunta quale presupposto della sua responsabilità politica.

L’argomento non convince.

Anzitutto, si è già detto, in termini generali, che il principio della parità di accesso alle cariche amministrative tra uomini e donne costituisce espressione di un principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, sancito dagli artt. 51, 3, 97 e 4, comma 2°, della nostra Carta Costituzionale, sicchè lo stesso opera di per sé, direttamente, anche in mancanza di disposizioni attuative, quale limite conformativo all’esercizio del potere amministrativo.

In secondo luogo, in relazione a tale diritto fondamentale, non può certamente ritenersi condivisibile che l’inerzia del potere legislativo regionale possa costituire, come preteso dalle difese regionali, legittima causa di giustificazione di una sua sostanziale disapplicazione a tempo indeterminato

E’ vero che la legge regionale potrà discrezionalmente regolamentare le modalità attraverso le quali dare concreta attuazione a tale principio: o individuando una soglia minima di presenze o prescrivendo un totale equilibrio fra le due componenti, al fine di rispettare il principio di parità di accesso sopra richiamato, ma è convinzione di questo Collegio che una precisa volontà del legislatore costituzionale, confermata ripetutamente dal legislatore nazionale, che ne ha sostanzialmente riconosciuto la valenza di principio generale del nostro ordinamento giuridico, sia stata violata dalla Regione sarda, che oggi eleva a sua giustificazione il fatto di non aver ancora adottato la legge regionale di attuazione.

In proposito, del resto, a conferma della non plausibilità dell’interpretazione offerta dalla Regione, è illuminante ripercorrere le vicende che hanno portato all’attuale assetto della giunta regionale, come detto oggi composta da 12 assessori uomini.

Al momento della sua nascita, dopo la vittoria nella competizione elettorale (marzo 2009), la Giunta Cappellacci comprendeva 4 Assessori donne su dodici.

Va detto che al tempo era in vigore la legge statutaria della Regione Sardegna, approvata con legge 7 marzo 2007 n. 15, che all’art. 15, comma 3°, stabiliva che “In attuazione del principio delle pari opportunità tra donne e uomini, la composizione della Giunta regionale è determinata promuovendo la presenza paritaria di entrambi i generi, ciascuno dei quali deve comunque essere rappresentato almeno nella misura del 40 per cento dei componenti”.

Con sentenza n. 149 del 13 maggio 2009 la Corte Costituzionale in riferimento all’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (come modificata dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2), annullava la promulgazione della suddetta legge avvenuta con atto 10 luglio 2008 n. 1.

Ebbene, nel mese di ottobre 2010, a seguito dell’azzeramento della Giunte precedente, il Presidente in carica provvedeva alla nomina di una nuova compagine assessoriale, questa volta non incontrando, in materia di pari opportunità, il limite della legge statutaria nelle more, come detto, caducata.

Ebbene, in tale occasione si è proceduto alla nomina di 12 Assessori tutti uomini.

Non solo.

Dopo la proposizione del ricorso, per motivi che in questa sede non rilevano si rendeva necessario procedere alla sostituzione di due Assessori.

Ebbene, anche in questo caso, sebbene la proposizione dell’impugnativa in sede giurisdizionale meritasse, quanto meno, una riflessione sulla composizione interamente maschile della Giunta, con i decreti impugnati col ricorso per motivi aggiunti si è proceduto a sostituire gli Assessori uscenti con altri due Assessori uomini.

Nella vicenda come riassunta si evidenzia pertanto una tenace e riaffermata volontà politica di escludere le donne dalla gestione dell’ente regione, con l’implicita ammissione che solo una legge regionale potrà eventualmente costringere ad una composizione equilibrata della giunta.

È opportuno sottolineare che restano precluse alle valutazioni del Collegio le ragioni politiche e fiduciarie che hanno guidato le scelte del Presidente nella composizione dell’organo amministrativo regionale, caratterizzate da ampi margini di discrezionalità ed esercitate nell’ambito di un potere espressamente attribuitogli dall’ordinamento.

Quel che tuttavia appare palesemente in contrasto col quadro normativo sopra delineato è la totale disapplicazione delle norme e dei principi costituzionali volti ad affermare l’esigenza che nel nostro ordinamento, nazionale e regionale, non abbiano ingresso forme di discriminazione a carico delle donne non solo, come sostiene la difesa delle Regioni, in occasione dello svolgimento di competizioni elettorali, ma anche e soprattutto allorchè si tratti di procedere alla nomina degli organi deputati alla gestione dell’Ente.

Se è vero che quanto più ampia è la discrezionalità di una scelta tanto più si riduce la necessità che venga sottoposta a specifici controlli, vertendo nell’ambito di atti che, sfuggendo ad un sindacato generale di legittimità, sono soggetti piuttosto al controllo ed alla conseguente responsabilità di tipo politico, è altrettanto vero che allorquando l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è conformato da vincoli di rango superiore che ne segnano in parte l’esercizio, costituisce comunque requisito di legittimità formale e sostanziale il rispetto dei tali limiti.

Ed è questa un’indagine senza’altro consentita al giudice di legittimità, non trattandosi di sindacare l’opportunità della scelta ma l’osservanza effettiva di un limite al potere.

In questa direzione la natura politica della scelta incontra il limite esterno dell’invocato principio di pari opportunità; ne discende che, concretamente, non possono essere posti a sostegno della mancata presenza di una donna nella Giunta ragioni di opportunità politica, perché in questo modo si porrebbe un’aprioristica prevalenza della libertà di scelta che invece deve recedere rispetto all’attuazione di principi costituzionali.

Appare poco verosimile che possano opporsi ragioni politiche alla presenza di una donna nella formazione dell’organo di governo, ma se così fosse deve trattarsi di una condizione di assoluta impossibilità di attuazione del principio, nel caso di specie in alcun modo dimostrata; infatti, nei provvedimenti impugnati, soprattutto in quello oggetto di motivi aggiunti, non viene richiamato un criterio di scelta motivato dalla impossibilità di procedere altrimenti.

Nè il principio di pari opportunità potrebbe ritenersi comunque non violato in concreto per effetto della mancata indicazione, da parte dei partiti di maggioranza, di nominativi di donne, sia perché si affida ancora una volta ad una valutazione di opportunità politica la preliminare individuazione di assessori di sesso femminile, sia perché la scelta deve consistere in un’autonoma determinazione del Presidente della Giunta il quale deve dimostrare di essersi concretamente e personalmente attivato, anche al di fuori dei suggerimenti dei partiti della coalizione di maggioranza, per individuare delle donne idonee e disponibili a rivestire l’incarico.

Resta salva, naturalmente, la valutazione politica di gradimento dell’assessore donna in pectore (come del resto dell’assessore uomo) da parte della maggioranza, ma il possibile dissenso rispetto a qualunque donna sia proposta e di cui il Presidente della Giunta regionale deve prendere atto, deve essere giustificato da concrete ragioni di inidoneità o incompatibilità politica alla funzione, nonché dalla mancanza di alternative valide, diversamente traducendosi in un’ingiustificata elusione di un cogente precetto costituzionale.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, non avendo il Presidente della Giunta Regionale né compiuto la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, né avendo motivato adeguatamente le ragioni della mancata applicazione del principio di cui all’art. 51 della Costituzione.

I provvedimenti impugnati vanno quindi annullati, dovendo il Presidente della Giunta Regionale procedere alla nomina dei nuovi assessori tenendo conto dei principi contenuti nella presente decisione.

Attesa la novità e complessità della questione sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Rosa Maria Pia Panunzio, Presidente

Francesco Scano, Consigliere

Tito Aru, Consigliere, Estensore

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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