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CARCERI: DAP APPLICA “CONFINO” A DETENUTI SARDI

21 novembre 2010 Nessun Commento

“Nel nostro codice è stato cancellato dal 1956 ma un “confino” in Italia continua ad essere applicato sistematicamente dal DAP, almeno nei confronti dei detenuti sardi. Non si spiega in altro modo la mancata applicazione della territorializzazione della pena e l’allontanamento dalla Sardegna anche di cittadini privati della libertà in gravi condizioni di salute”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” richiamando l’attenzione su alcuni casi di detenuti ammalati trasferiti dalle carceri sarde in Continente nonostante a Sassari e a Cagliari ci sia un centro diagnostico terapeutico. “La territorializzazione della pena – sostiene Caligaris – non è solo sancita dalla legge, ma è un concreto modo per umanizzare la detenzione e quindi per ridurre i casi di autolesionismo e i suicidi in carcere. Rappresenta inoltre un utile strumento per ridurre i costi dell’amministrazione e almeno per questo motivo dovrebbe essere applicata. Si assiste invece ad un continuo via vai di detenuti con traduzioni che costano parecchio alle casse dello Stato e non appaiono davvero motivate. Senza contare le condizioni in cui vengono effettuate”. “Emblematico – sottolinea la presidente di Socialismo Diritti Riforme – il caso di un detenuto sardo, ammalato, trasferito da Alghero a Napoli, che ha impiegato utilizzando l’aereo circa 11 ore per giungere a destinazione. Durante tutto il percorso non ha potuto assumere i medicinali salvavita e nelle diverse tappe non solo non ha potuto mangiare, ma neanche bere. Una condizione disumana che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche”. “Il fatto ancora più grave è che il detenuto non potrà effettuare i colloqui con i familiari a causa della distanza e per i costi. Non tutti infatti sono nelle condizioni economiche per poter affrontare le spese di un viaggio così lungo, oltre 24 ore con la nave, senza contare la situazione sanitaria dei familiari anziani. Il tutto appare paradossale in un momento in cui la presenza eccessiva di detenuti dovrebbe suggerire il ricorso alle pene alternative e una riduzione dei disagi anche per gli agenti di polizia penitenziaria anch’essi costretti ad andirivieni estenuanti. Assurdo poi – conclude Caligaris – se si tiene conto della recente sentenza della suprema Corte che ha suggerito di non aggiungere ulteriori pene alla detenzione”. Cagliari, 18 novembre 2010

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