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NON VEDE MADRE DA 10 ANNI NUOVO DINIEGO PER ANNINO MELE

19 agosto 2010 Nessun Commento

Nuovo rigetto ad Annino Mele di un permesso per abbracciare l’anziana madre impossibilitata per gravi motivi di salute e per età ad incontrare il figlio detenuto a Fossombrone. L’ergastolano sardo, in carcere dal 1987 che, in base alla legge potrebbe usufruire di un permesso premio, non vede la congiunta da oltre dieci anni. Nell’ultimo decreto di reiezione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona relativo all’articolo 30 della legge sull’ordinamento penitenziario che disciplina i cosiddetti “permessi di necessità” si precisa che in base alla relazione sanitaria l’anziana donna “seppur affetta da varie patologie non versa in imminente pericolo di vita”.
“Non vorrei andare a trovare mia madre morente – ha scritto Annino Mele, 59 anni il prossimo 20 novembre all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” – vorrei continuare a immaginarla così com’è lucida e arzilla. Mia madre ha gli anni che ha, non è per niente in grado di poter affrontare alcun genere di viaggio. Nessun medico sosterrebbe il contrario. Un congiunto può trovarsi in condizione di paralisi, costretto a letto o in carrozzella. Questo non basta per autorizzare un detenuto a rendergli visita? O bisogna per forza parlare di morte? Cos’altro aggiungere? Non sono l’eccezione. Il diniego ai permessi attraverso questo articolo è applicato per la maggior parte dei detenuti. Spetta infatti al Magistrato di turno decidere per simpatia o altro chi mandare e chi no a visitare un proprio congiunto malato. In diversi casi vengono concessi permessi con la scorta anche se il familiare non si trova in imminente pericolo di vita. Vorrei però dire che non possono esserci discriminazioni sui rapporti familiari. Un magistrato non deve giocare su questo e comunque sarebbe ora che venisse modificata questa norma. E’ un articolo macabro”.
“E’ evidente – sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR – la difficile applicazione della norma che lascia totale discrezionalità ai Magistrati, dopo un accertamento attraverso il servizio sanitario delle condizioni di salute del congiunto del detenuto, di concedere o meno il beneficio. Il Magistrato deve quindi assumersi la responsabilità di un permesso prima che il parente abbia esalato l’ultimo respiro altrimenti la necessità cessa e subentra un altro comma dello stesso articolo. L’aspetto controverso appare ancora più evidente se si considera che il 30ter della stessa legge consente al magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, di concedere permessi premio ai condannati con “regolare condotta” e non “socialmente pericolosi”. Permessi della durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire “di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro”. Ma dopo quanto tempo in stato di detenzione un cittadino può essere definito non pericoloso socialmente. Insomma se dopo oltre vent’anni di reclusione un cittadino privato della libertà è ritenuto ancora pericoloso vuol dire che il sistema italiano – conclude Caligaris – deve essere rivisto e ripensato altrimenti è davvero solo un luogo in cui si emarginano i problemi sociali.
I permessi in genere, e quelli di necessità in particolare, costituiscono infatti – secondo la volontà legislatore – uno degli aspetti di umanizzazione e di rieducazione della pena secondo il dettato costituzionale. Quando non vengono concessi con la motivazione rigida dell’applicazione della norma creano nel detenuto disorientamento e malessere che aggravano la stato di tensione esistente nelle carcer per il sovraffollamento e per le difficili condizioni vita.

Cagliari, 19 agosto 2010

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